Lo sapevate che il vino Raboso è uno dei rossi più “caparbi” della Terra delle Meraviglie, dalla vendemmia tardiva e dal gusto inconfondibile? Ecco la sua storia e le sue caratteristiche!

Qui nel nostro paese, che per lo più si fanno vini neri per Venetia di uva nera che si chiama recandina, altri la chiamano rabosa per esser uva di natura forte…
Sono parole del trevigiano Jacopo Agostinetti, che nel 1687 lasciò una delle prime testimonianze scritte di uno dei vini rossi più caparbi del Veneto, il Raboso.

Quella del Raboso è senza dubbio una storia affascinante, tipica della Terra delle Meraviglie che non dimentica i vitigni autoctoni e anzi, dove possibile, li valorizza.
L’antenato del Raboso veniva prodotto già prima dell’avvento di Roma, e chi, se non Plinio il Vecchio, poteva darne una definizione così calzante come “Picina omnium nigerrima”, ovvero il vino più nero della pece?
Ma è solo con la super potenza della Serenissima che iniziò la sua ascesa, diventando di fatto l’unico vino esportabile fino in oriente grazie alla sua robustezza, all’alta concentrazione di tannino e alla forte acidità, caratteristiche che lo rendevano particolarmente resistente agli sbalzi termici e al deperimento.

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La storia più recente ci consegna altre testimonianze, tra cui quella di uno dei miti dell’enologia italiana, Antonio Carpenè, che a fine Ottocento consacra la “Rabosa nera” come la più importante varietà del Veneto Orientale, fortemente radicata alle terre del fiume Piave e alle sue genti.

E oggi, dopo la contrazione del secondo dopo guerra, cosa sta succedendo al vino rosso più “rabioso” del Veneto?
Sta letteralmente risorgendo, con due Doc (la Piave e la Venezia) e una Docg, la Malanotte, che guadagnano sempre più apprezzamento e quote di mercato.

Alla scoperta del Raboso

La vendemmia è tardiva, per conferire le caratteristiche che lo rendono unico: un vino corposo, aspro, tannico e ideale per l’invecchiamento.
Alcune aziende stanno spingendo la vendemmia addirittura a dicembre, sperimentando una tecnica coraggiosa: la doppia maturazione ragionata. Ebbene sì, quando in tutta Italia si pensa ai regali di Natale, nella Terra delle Meraviglie c’è ancora “la rabosa” in campo. Questa tecnica consente di mantenere le uve in pianta fino a metà dicembre e di migliorarne la qualità grazie a una parte di esse che appassisce in vigna. Così si riesce ad abbassare ulteriormente l’alta acidità del Raboso, ad aumentare i profumi, gli zuccheri e il grado alcolico, garantendo un prodotto di qualità superiore.

Affinato poi in botti di legno, acquista un colore rosso rubino intenso, con riflessi granati e un bouquet ampio che ricorda la marasca, le more, il mirtillo e le spezie nostrane. Ha un sapore secco, sapido, lievemente acidulo ma appagante.
È un vino dal cuore caldo, specchio di un Veneto tenace, che dietro a una ruvida scorza, nasconde uno scrigno di generosità e convivialità.

Vi stiamo trasportando in un mondo immaginario di profumi e sapori?
Facciamo anche di più: vi suggeriamo dove andare a degustare la massima espressione del Raboso, il Malanotte Docg.
In Provincia di Treviso, a Tezze di Piave, c’è infatti Borgo Malanotte, l’antico borgo rurale che ha dato il nome alla Docg. Scenario di eventi e rievocazioni storiche, è stato inserito nella rete dei borghi europei del gusto. Custode della storia di queste terre, è caro anche agli inglesi.
E se pensate che proprio in alcune cantine dell’Inghilterra, nel 1885, furono ritrovate alcune antiche bottiglie di Raboso, possiamo stare certi che l’avvenire di questo vino ci riserverà ancora tante sorprese.

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Trevigiana doc ma globe-trotter nel cuore, lavora come copy e social media manager in una digital agency e in libera professione. Se fosse un vino, sarebbe un Prosecco: frizzante, eclettica, conviviale proprio come un calice di bollicine. Appassionata di volley, antropologia culturale e viaggi, ama da sempre il mondo del vino per vocazione personale e attaccamento al territorio. Contribuisce alla sezione “Wine” raccontando i luoghi, le genti, la filiera del nettare degli dei.