Forse non  tutti sanno che le vetrerie di Murano hanno prodotto le prime lenti da sole. Di colore verde e sotto forma di occhiali o di “specchi” trasparenti, venivano usate durante i trasferimenti in gondola per le dame o per i bambini. Scopriamo insieme questa affascinante storia, che ci conduce fino ai giorni nostri!

La produzione vetraia veneziana ha storie e radici antiche: si rifà direttamente a quella già florida di origine romana e bizantina. A confermarlo le fornaci con frammenti di vetro e tessere di mosaico rinvenute nell’isola di Torcello in un contesto archeologico risalente al 600-650 d.C. L’arte vetraia toccò il suo apice tra il XV e il XIX secolo e ancora oggi rappresenta il made in Italy e l’eccellenza Made in Veneto in tutto il mondo.

Se si considera il discreto numero di occhiali seicenteschi dotati di lenti da sole presenti nei musei e nelle collezioni private, è possibile affermare che la produzione di vetri colorati a scopo protettivo fosse largamente diffusa a partire dalla seconda metà del Seicento.

Forse non  tutti sanno che  le vetrerie di Murano hanno prodotto le prime lenti per riparare gli occhi dal sole. Queste lenti, di colore verde e sotto forma di occhiali o di “specchi” trasparenti, venivano usate durante i trasferimenti in gondola per le dame o per i bambini. Da alcuni studi degli ultimi anni è risultato che le lenti originali del Settecento hanno una grande proprietà di filtraggio per i raggi UV, notoriamente nocivi per gli occhi e questo è molto interessante, in quanto i raggi UV sono stati scoperti soltanto il secolo successivo. Ma entriamo nel dettaglio di questa affascinante storia, che pone al centro uno degli oggetti di uso quotidiano maggiormente diffusi.

Venezia e il suo vetro: l’origine delle prime lenti da sole

Non vi è dubbio che i mezzi protettivi più originali fossero prodotti a Venezia, sviluppati appositamente per ridurre la luce intensa e il riflesso di questa dalla superficie lagunare. Questi manufatti assunsero un duplice scopo: la protezione visiva e la difesa della pelle del viso, grazie alle dimensioni insolitamente grandi per l’epoca. Il colore più usato fu il verde in varie tonalità: giallo-verde, verde-prato, verde-mare o verde-smeraldo.  La nobiltà veneziana, e non solo, cercava la distinzione dal popolo evitando i raggi solari poiché il sole, facendo affiorare la melanina (il pigmento scuro), marcava la pelle in modo irreversibile. Come sappiamo, il colore della pelle era infatti l’unico dettaglio in grado di differenziare una persona costretta a lavorare nei campi, in mare o nelle pubbliche vie, dai nobili che invece si limitavano molto spesso a dirigere, quando non erano invece dei semplici imbroglioni o degli sfaccendati, come la nota figura di Casanova. I famosi ceroni, in uso all’epoca, realizzati per mascherare la pelle ed evidenziarne il pallore, erano un sistema alternativo alla ricerca costante dell’ombra.

Una curiosità very sgaia legata all’ombra? Il tema dell’ombra a Venezia fu ricorrente e riproposto in vari settori della vita quotidiana: basti pensare al famoso decimo di vino (bicchiere di vino), venduto sfuso al banco, che oggi è chiamato Ombra. Alcune fonti ritengono che dal Campiello del Sol, i veneziani andassero a bere un buon bicchiere di vino nell’adiacente trattoria “All’Ombra” (civico 990 in San Polo) oppure, come evidenziato nei quadri del Guardi, sotto il tendone ai piedi del campanile in piazza San Marco.

Gli ottici veneziani hanno introdotto tra i primi in Italia l’uso delle aste sugli occhiali, ma ancora non era in uso questo termine per definirle. Il termine branca sarà utilizzato nel dizionario italiano fino alla fine dell’Ottocento per indicare qualsiasi asta. Deriva deriva dal termine veneziano “brancar”, cioè trattenere, come evidenziato anche nel dizionario etimologico Veneto-Italiano. A sua volta questo vocabolo deriva dal latino brachium, che indica un arto prensile, come per esempio la chela di granchio. Il termine “branches” è ancora oggi in uso nella lingua francese per indicare le aste degli occhiali.

I primi occhiali avevano delle aste che premevano contro le tempie e non arrivavano ancora alle orecchie, come le attuali, a causa dell’uso frequente nel Settecento della parrucca. Parrucche che non permettevano alle aste di raggiungere le orecchie e che, di conseguenza, limitarono la fantasia del loro inventore, ritardando ancora di oltre 150 anni lo sviluppo di queste appendici, indispensabili per trattenere l’occhiale stabilmente sul naso. Se in Inghilterra e in Francia le aste terminavano con delle spirali o con dei grandi anelli per aumentare la pressione e, pertanto, la stabilità, quelle primordiali veneziane erano molto originali grazie alla loro forma ad asola.

Resta un piccolo mistero il motivo per cui i collezionisti abbiano identificato questa tipologia di occhiale con il termine Occhiale di Goldoni:  forse è legato al periodo d’invenzione, coevo alla vita del commediografo veneziano Carlo Goldoni, ma, durante le ricerche effettuate per la stesura di questo catalogo, alcune fonti hanno rivelato che tale dicitura potrebbe essere stata coniata da un noto collezionista di occhiali, Fritz Ratschüler, la cui collezione oggi è il nucleo del museo privato della ditta Luxottica ad Agordo (BL).

Tutti gli occhiali del tipo Goldoni sopravvissuti (circa una trentina di esemplari nel mondo) presentano una caratteristica comune: lungo la montatura sono presenti numerosi forellini che servivano a fissare i ripari laterali in seta (paraoci), con del filo passante.

 

 

Testi e foto estratti da catalogo Mostra Occhiali da Doge -2014- per uso stampa

 

 

Articolo precedenteA Cortina Red Bull Discesa Libera con Sofia Goggia, si sgaizzi chi può!
Articolo successivoCasanova Museum Experience: dal 2 aprile a Venezia un’esperienza unica
Vicentina di origine, padovana da lunga data, gira il Veneto in lungo, largo e obliquo per diletto e lavoro. Founder di Sgaialand.it, co-dirige la storica agenzia di creatività pubblicitaria Caratti E Poletto, è Docente di Psicologia del Marketing & dell'Advertising all'Università IUSVE a Venezia e Verona, e insegna al Master Food & Wine 4.0. Ha portato il format internazionale Fuckup Nigts a Padova, di cui è licenziataria e organizzatrice. Sposata con Giulio e mamma di Cecilia, è anche speaker, ospite e presentatrice di numerosi eventi. Info utili: non levatele la cioccolata di mano.