Architetto e mamma: Alessandra Zambotto si racconta ai nostri microfoni parlando da una parte di bioarchitettura e dall’altra affrontando il tema del percorso di adozione per diventare madre
Nata ad Este nel 1969, Alessandra Zambotto si laurea in Architettura allo IUAV di Venezia e subito inizia a darsi da fare nel mondo del lavoro: dopo numerosi stage e tirocini entra a far parte del team di una grande Azienda, che la porta anche a spostarsi in diverse località d’Italia, occupandosi di urbanistica e coordinamento. Amante della fotografia, dei viaggi e del paesaggio, che la portano ad avvicinarsi con speciale sensibilità alla cultura dell’ecologia e del biologico.
In mezzo a tutto questo, Alessandra Zambotto e suo marito decidono di affrontare una sfida enorme: l’adozione internazionale. Un tema di cui, purtroppo, si parla ancora troppo poco.
Una vita lavorativa intensa, molte passioni a cui dare spazio ed una famiglia a casa. Tutto questo sembra inconciliabile, e invece Alessandra Zambotto ci riesce…
“Nulla è impossibile quando ci si crede davvero. I momenti di stanchezza ci sono, ma li supero con un buon sonno e a volte con la Meditazione. Mi aiuta, poi, il caffè che al mattino mi porta a letto Davide, mio marito, il sorriso dei nostri figli e altre piccose cose che diventano importanti. Fortunatamente l’Azienda per cui lavoro mi ha agevolata, esattamente come fa per le mamme di pancia, garantendomi maternità e congedi prima, ed una riduzione di orario di lavoro e responsabilità poi. Ciò mi permette di ritagliare del tempo per le mie passioni, magari anche prima di andare a prendere i bambini a scuola oppure il sabato o la domenica mattina, mentre tutti ancora dormono. Questo mi fa sentire più completa, come mamma e come donna”
Alessandra Zambotto viene da una famiglia piuttosto numerosa e straordinariamente unita: c’è qualche collegamento tra questo e la tua scelta di diventare mamma adottiva?
“I miei genitori hanno lasciato la loro città natale da giovani per creare la loro famiglia e noi siamo cresciuti molto uniti, pur nel rispetto delle nostre individualità. La mia idea di famiglia è sicuramente legata a come sono cresciuta con loro: protetta e parte di una squadra, ma allo stesso tempo indipendente e libera di fare le mie scelte. Anche per questo quando ho conosciuto mio marito, ormai entrambi maturi, e dopo alcuni tentativi non andati a buon fine con l’inseminazione, abbiamo deciso di intraprendere una strada nuova, giusta, più naturale: l’adozione. Purtroppo è un argomento di cui spesso si parla in modo negativo, anche perché le Istituzioni fanno ancora troppo poco per garantire la tutela dei bambini e delle famiglie e coppie disponibili, tanto che queste sono ancora troppo spesso considerate famiglie diverse, senza pensare che il DNA non è necessariamente indice di famiglia sicura e naturale. Dal momento dell’incontro con i miei figli mi sono scritta tutto, per imparare e per non dimenticare: non è stato certo facile, gli ostacoli da superare, soprattutto il primo anno, sono stati molti. Ma con il passare del tempo si dimenticano, un po’ come, mi dicono, il dolore del parto: anche l’adozione è una gravidanza, anche se di cuore e non di pancia ed a volte è anche molto più lunga, a volte più lunga di quella della balena!”
Una laurea allo IUAV di Venezia con una tesi in progettazione, un’occupazione nell’ambito dell’urbanistica e coordinamento e, come dici tu, “una fissazione per l’ecologia ed il biologico”. Come si possono conciliare questi aspetti?
“Perché no? Durante gli anni allo IUAV, architettura, paesaggio e natura per me hanno sempre avuto uno stretto legame, tanto da portarmi a frequentare un corso di specializzazione in Bioarchitettura, da affiancare alla mia passione per il giardinaggio e la fotografia. Nel 2006, dopo la perdita della mia mamma, mi sono avvicinata al mondo del biologico, iniziando a modificare parte della mia alimentazione: poche cose semplici e fattibili. Il mio lavoro in Azienda sembra lontano da tutto questo, in realtà non è così: mi ha dato soddisfazioni, indipendenza economica, la possibilità di arrivare ai miei figli. Credo che essere consapevoli ed approfondire questi temi green sia un dovere di tutti”
Termini che sembrano ancora utopistici, ma, a quanto pare, realizzabili: è possibile una vita green e sostenibile a misura di bambino?
“I bambini sono stati fin da subito una fonte d’ispirazione: durante il primo periodo passato insieme in Brasile, periodo difficile, fatto di continue provocazioni, i primi segni di pace sono arrivati proprio attraverso i fiori, con cui loro dimostravano i primi segni d’affetto nei miei confronti. Poi, una volta in Italia, passeggiando nella natura, tra i boschi, hanno cominciato a fidarsi di noi e a raccontarci i loro ricordi peggiori e le loro più profonde paure. Ecco perché la natura è una parte fondamentale della nostra storia: leggere le favole sugli animali, passeggiare insieme nel verde, fare piccoli lavori di giardinaggio, ci hanno aiutato a creare la giusta atmosfera e magia per arrivare a quell’empatia che ci ha permesso di capirci ed amarci”
La tua professione, la tua famiglia, una pagina Instagram seguitissima, un sito incantevole in cui perdersi e sognare, una filosofia di vita in cui credi moltissimo ed infinite passioni che trovano spazio nelle Tue giornate. Progetti futuri?
“Mi piace elaborare nuove idee e sperimentare. Credo che ognuno di noi sia nato per manifestare ciò che ha dentro, basta trovare la strada per farlo: io ho iniziato con la scrittura e la fotografia. Ho un profilo Instagram, in cui mi diverto con le foto dei nostri viaggi e racconto un po’ della nostra vita e soprattutto un sito, a cui tengo molto, “MEDITERRANEO”, dove scrivo di natura ed architettura attraverso la fotografia. Attualmente sto scrivendo qualcosa su di Noi, che spero un giorno di vedere pubblicato e, da qualche mese, sto sperimentando un nuovo progetto, “SOLONATURALE”: sarà l’unione di quello che finora ho fatto ed in cui credo, ovvero una rivista online dove parlare di progetti per la salvaguardia dell’ambiente, di bioarchitettura, paesaggio, prodotti naturali, vegetali ed ecologici. Se il progetto dovesse andare in porto, l’idea è quella di devolvere una percentuale degli eventuali profitti, di volta in volta, ad una Associazione Onlus che si occupa di bambini”